venerdì 20 febbraio 2015

Pala del Rifugio - via Castiglioni Detassis

Apriamo la porta del rifugio Treviso e Giulietta scaraventa il libro che stava leggendo, scoppiando quasi in lacrime vedendoci. 
Ora, so che Giubi non è Brad Pitt, però non pensavo facesse questo effetto...




La sera prima si era deciso, l'unica finestra di bel tempo in tutta l'estate l'avremo dedicata alla Castiglioni-Detassis, Pale di San Martino, quindi vicino a Gosaldo, bel vione lungo e bella roccia.
Discesa da non sottovalutare, dice la relazione. 
Discesa da "pigna in quel posto", dico io.

Si parte in tre fino al Treviso, poi Giulia ci avrebbe aspettato li il tempo di fare la via.
E così io e il Giubi, soli in tutte le Pale, con una simpatica nebbiolina che sarà nostra compagna per tutta la scalata, ci avviamo all'attacco. 
Una decina di minuti per capire dove Ettore e Bruno avevano attaccato la via qualche lustro di anni fa e, superato lo zoccolo, eccoci all'attacco.
Via alle danze. Paesaggio fantastico e silenzio rotto solo dal rimbombo dei nostri classici "molla tutto" "parti" "arrivato in sosta" "recupera arancio" "recupera arancio" "recupera arancio". No, non è un errore di battitura...la corda arancione era un paio di metri più lunga...


I tiri scorrono tutti con la classica logica degli anni '30. Poi il buon Giubi, intorno all'ottavo tiro, probabilmente stufo del periodo del "ventennio", decide di tornare agli splendidi anni 2000, quelli, per intenderci, della crisi, di Renzi e dell'Isis.
Giustamente, invece di infilarsi in uno splendido diedro-camino di 45 metri, sala a sinistra, dritto in placca, "FF mode-on".
A metà placca, afflitto da dubbi esistenziali, decide di fare sosta volante su una clessidra da 3mm, un chiodo marcio e probabilmente una zolla d'erba. Salgo su e, giusto per non rischiare di finire entrambi nell'accogliente sottostante Vallone di Sant'Anna, rifiuto garbatamente l'invito di appendermi in sosta e continuo dritto. Nel tentativo di tornare nel camino, improvviso un passo di IX grado superiore, però l'unico chiodo, sette metri sotto di me, mi invita gentilmente a proseguire dritti in placca su difficoltà, tutto sommato, contenute.



Giunti, al fine, verso metà via, i tiri si fanno più in spigolo su roccia fenomenale. 
Giusto sull'ultimo tiro, prima della lunghezza da fare slegati o in conserva, sempre Giubi, in grande spolvero, vuole provare l'ebbrezza di un volo direttamente in partenza dalla sosta, ma grazie ad un fenomenale bloccaggio monobraccio, evita un probabile e assai infausto epilogo.
E verso le 16 del pomeriggio è finalmente cima. SMS a Giulia "stiamo scendendo".


Ora, ve lo dico, mettetemi su un 7b di placca da proteggere a nuts, e magari ve lo faccio pure senza gonfiare troppo i pantaloni. 
Però le discese, anche fossero con passi di II+....nooooo!! Che se poi ci sono i cavi di ferro, ancora peggio!!

Comunque, iniziamo la discesa "da non sottovalutare". La simpatica nebbiolina continua assillante la sua presenza, nascondendoci alla vista i bolli rossi che indicano il cammino.
Dopo diversi tratti un po' esposti e umidi, una doppia di 5, e dico 5, e ripeto 5 metri, sali e scendi, cazzi e mazzi, io che vedevo sassi incastrati ovunque, arriviamo finalmente al vero Sasso incastrato, quello sotto lo Spigolo ovest del Sass d'Ortiga. Da li la discesa mi era familiare avendo fatto la via l'estate prima col buon Cru.
Giù di corsa per il Vallone delle Mughe, e finalmente al Treviso per le 18.

Apriamo la porta del rifugio e... [vedi incipit].

Spiegazione: Giubi non è sicuramente Brad Pitt, ma il problema fondamentale è che, per OVVI problemi di rete, il fatidico SMS a Giulia era arrivato cinque minuti prima del nostro ingresso in rifugio. Tanto che anche il gestore era convinto che noi saremmo arrivati, ormai, di notte. Da qui la comprensibile e primaria preoccupazione di quello che sarebbe potuto succedere affrontando la discesa dalla Pala in ora tarda: un bivacco col Giubi!!


Relazione della via sul sito dei Rampegoni: via Castiglioni-Detassis







giovedì 12 febbraio 2015

La vecchia Alpa Tris di nonno Tonino



Quell’aria salmastra carica di umidità portata da una forte libecciata, quella che solo gli uomini di mare conoscono; quel vento teso, amico e nemico, che gioca con i miei capelli ormai bagnati e con la bandiera lacerata, issata su un palo di legno ormai stanco; quelle onde che si divertono a tratti con le nuvole più basse.
Si presentava cosi il palcoscenico di un pomeriggio autunnale. Seduto sulla sabbia umida ammiravo lo spettacolo. Appena dietro di me, separato da un’ostile rete metallica, il rimessaggio delle barche. Quattro derive e un pattino di legno, ormai solo pezzi di un mosaico di desolazione. Qualche ardita pianta rampicante aveva provato, negli anni, a tessere i suoi rami sugli scafi, non più bianchi e lucidi, ma grigi e opachi, riflesso di quella giornata tempestosa.
Tra i cinque relitti v’era anche la barca di mio nonno, un’Alpa tris col pozzetto rosso, l’unica tonalità che al paesaggio imprimeva colore.
Come di consueto mi avvicinavo lentamente a quella piccola deriva, facendo attenzione ai vetri e ai calcinacci nascosti tra la sabbia.
Chiuso e goffo nella mia cerata gialla, scavalcavo il bordo e mi sedevo dentro il pozzetto. Le prime manovre non erano porsi prua al vento e issare la vela…ma sgottare fuori l’acqua stagnante, memore di un ammutinamento senza ammutinati. Non aveva certo gli ottoni e il teck, ma come i cadetti sul Vespucci, curavo i due strozzascotte rimasti e lucidavo quella vetroresina ormai crepata dal sole e dal sale. Terminate le pulizie, con delicatezza per non rovinare lo scafo, mi sedevo a poppa, sul bordo di dritta…e chiudevo gli occhi. Immaginavo mio nonno, scotta e barra in mano, pipa in bocca, condurre sulle onde la sua Alpa e io ero li, a contrastare col mio peso la forza del vento. La pioggia che cadeva sempre più forte era la spuma dell’onda che frange contro lo scafo; lo sventolare frenetico della bandiera lacerata era il rumore della balumina della randa e il sibilo del vento la voce di mio nonno, sicura e ferma, che impartiva gli ordini. Filavamo sbandati in quel mare che si lasciava accarezzare dalla barca e come uno splendido amante egli baciava la sua amata.
D’improvviso mio nonno urlava: “pronti a virare?!”…e ogni volta mi fermavo qui col pensiero. No! Non ero pronto a virare…Ero li, seduto su una barca ferma, abbandonata sulla sabbia, senza timone, senza deriva, senza vela. Non era cosi che mio nonno avrebbe voluto finisse la sua barca. E io non potevo dire che ero pronto a virare; in barca non si può mentire. Nemmeno a se stessi…

Fu dopo qualche anno, con mia grande e felice sorpresa, che mio padre fece ristrutturare la vecchia Alpa. Mi attendeva fuori di casa, scafo bianco, finalmente lucido, deriva e timoni originali in legno, vela al terzo bianca con una T che campeggiava nel mezzo.
Non aspettai la bella stagione, non avrei resistito così a lungo. Era Pasqua, soffiava maestrale quel giorno, il freddo era pungente, ma non importava, quel giorno l’avevo aspettato.
Misi la prua al vento, incastonai l’albero nel suo vano, passai la drizza nel bozzello in testa d’albero e issai la randa. Sbatteva la vela al vento e allo stesso ritmo batteva il mio cuore.
La portai in battigia e infine entrammo in acqua. La prima onda che colpì lo scafo fu come un bacio di un uomo che dopo un lungo viaggio ritrova la sua donna. E poi ci fu l’idillio, il connubio tra il mare e l’anima dell’Alpa, e io Cupido al timone facevo rotta non verso un porto, ma verso l’orizzonte…



Non sarà il Joshua di Bernard, non sarà il Jipsy Mooth di Sir Francis…è semplicemente l’Alpa Tris di mio nonno Tonino, che in quello specchio di mare compreso tra il promontorio del Circeo e il tempio di Giove, naviga ancora…

venerdì 6 febbraio 2015

Fotonico traverso del Turco - Montagna Spaccata

Tra roccia e mare. Per me, che amo entrambi questi elementi, è il top.
Gaeta, la piccola Napoli. Pagare l'obolo all'ingresso della grotta. Scendere i gradini e ammirarne la sua volta. Respirare la salsedine. Ma ricordarsi, in quel momento, che le corde oggi si chiameranno corde. Che se le chiamo "scotte", forse il compagno di cordata non capirà...




Si parte, allora, per questi 180 metri di traverso...brr...i traversi, famoso quello sprotetto di Polimagò, famosa la "traversata degli dei" sull'Heiger..

Ma qui siamo sull'S2 e neve non ce n'è, al massimo qualche piccola stalattite di ghiaccio che cade scaldata dal primo sole mattutino.

L'unica incognita è la temperatura dell'acqua..si sa mai che tra un chiodo e l'altro qualcuno abbia voglia di farsi un salutare bagno nel Tirreno..


E allora via, prima Carlo, poi io, poi io, poi Carlo. In alternata. Ma solo formalmente. Perché sostanzialmente le imprecazione sono sia del primo che del secondo...

Subito un passetto per scaldare le dita. La puleggia dell'anulare, invece, l'ho lasciata a Sperlonga un paio di giorni prima. Aveva deciso che la speleologia non faceva per lei. Amen.
Comunque, iniziano le danze. Effettivamente, pensandoci bene, scalare un traverso è come danzare. Incroci di piedi, incroci di braccia, casquè...no beh, forse casquer meglio di no.

 I tiri si susseguono uno più spettacolare dell'altro, su roccia sempre fantastica e incredibilmente asciutta.
Poco prima, il custode del Santuario ci aveva detto, aprendoci i cancelli della grotta, che il Turco stava dormendo e forse non era il caso di svegliarlo.


Abbiamo scalato in silenzio. Abbiamo carezzato ogni appoggio, ogni appiglio col massimo rispetto. Io non so chi sia sto Turco, però se una mattina dovessi essere svegliato da due disadattati, appesi sul muro della mia camera, forse forse, mi incazzerei.

Tra spallate, pinze, tacche, svasi, mono e biditi, rovesci e zanche, tanto per utilizzare un lessico "climber friendly", i tiri proseguono.


Un solo ritornello nella testa..Antonello Venditti.."autostrada deserta, ai confini del mare, sento il cuore più forte di questo motore.."..eh si, la bellissima "Alta Marea".
Oh cazzo!! E se poco poco..ma vaaaaa....
Gli scalatori si ritirano per i temporali, per le valanghe, per le scariche di sassi...ma si è mai sentita una cordata che ha dovuto abdicare a causa dell'alta marea?!? Bannati dalla comunità climber ipso iure!!
Il pensiero c'è stato e faceva piuttosto ridere. Però il mare ha continuato a tenere i suoi tentacoli una metrata sotto i nostri culi e quindi è andato tutto bene. Niente Soccorso Alp....ehmm...Guardia Costiera.






Giusto qualche nota tecnica:

- avvicinamento: dal parcheggio del Santuario dirigersi verso il cancello che dà accesso alla grotta. Si raccomanda vivamente di pagare l'obolo. Il Turco ne sarà contento. Scendere i gradini, portarsi sulla sx della grotta dove si trova la prima sosta

- via: traversare per 180 metri verso dx. Al terrazzo della via Beatrice tocca scegliere. O si torna indietro, e allora traversare 180 metri verso sx, oppure si sceglie una via verso l'alto. Ampia gamma. Da Beatrice, alla Croce del Sud, a Leonardo, fate vobis.
Terza opzione sarebbe via mare, ma è poco chiodata. Eventualmente portare un set di boccagli (raddoppiare il rosso) e una maschera. Chiodi non necessari.

- ritorno: se avete scelto la seconda alternativa (consigliata), una volta spuntati sulla sommità della Montagna Spaccata, andare verso la macchina. Poi con la macchina dirigersi verso la "tielleria" più vicina.



QUI la relazione del Gran Trittico Blu che comprende anche il Fotonico Traverso

giovedì 5 febbraio 2015

Presentazione

Una semplice treccia di trefoli, treccia che ti tiene attaccato alla vita.
Racconti di via, racconti di rotte bislacche, racconti fiumi e canali, racconti di strada, racconti di osteria e racconti da osteria.