giovedì 12 febbraio 2015

La vecchia Alpa Tris di nonno Tonino



Quell’aria salmastra carica di umidità portata da una forte libecciata, quella che solo gli uomini di mare conoscono; quel vento teso, amico e nemico, che gioca con i miei capelli ormai bagnati e con la bandiera lacerata, issata su un palo di legno ormai stanco; quelle onde che si divertono a tratti con le nuvole più basse.
Si presentava cosi il palcoscenico di un pomeriggio autunnale. Seduto sulla sabbia umida ammiravo lo spettacolo. Appena dietro di me, separato da un’ostile rete metallica, il rimessaggio delle barche. Quattro derive e un pattino di legno, ormai solo pezzi di un mosaico di desolazione. Qualche ardita pianta rampicante aveva provato, negli anni, a tessere i suoi rami sugli scafi, non più bianchi e lucidi, ma grigi e opachi, riflesso di quella giornata tempestosa.
Tra i cinque relitti v’era anche la barca di mio nonno, un’Alpa tris col pozzetto rosso, l’unica tonalità che al paesaggio imprimeva colore.
Come di consueto mi avvicinavo lentamente a quella piccola deriva, facendo attenzione ai vetri e ai calcinacci nascosti tra la sabbia.
Chiuso e goffo nella mia cerata gialla, scavalcavo il bordo e mi sedevo dentro il pozzetto. Le prime manovre non erano porsi prua al vento e issare la vela…ma sgottare fuori l’acqua stagnante, memore di un ammutinamento senza ammutinati. Non aveva certo gli ottoni e il teck, ma come i cadetti sul Vespucci, curavo i due strozzascotte rimasti e lucidavo quella vetroresina ormai crepata dal sole e dal sale. Terminate le pulizie, con delicatezza per non rovinare lo scafo, mi sedevo a poppa, sul bordo di dritta…e chiudevo gli occhi. Immaginavo mio nonno, scotta e barra in mano, pipa in bocca, condurre sulle onde la sua Alpa e io ero li, a contrastare col mio peso la forza del vento. La pioggia che cadeva sempre più forte era la spuma dell’onda che frange contro lo scafo; lo sventolare frenetico della bandiera lacerata era il rumore della balumina della randa e il sibilo del vento la voce di mio nonno, sicura e ferma, che impartiva gli ordini. Filavamo sbandati in quel mare che si lasciava accarezzare dalla barca e come uno splendido amante egli baciava la sua amata.
D’improvviso mio nonno urlava: “pronti a virare?!”…e ogni volta mi fermavo qui col pensiero. No! Non ero pronto a virare…Ero li, seduto su una barca ferma, abbandonata sulla sabbia, senza timone, senza deriva, senza vela. Non era cosi che mio nonno avrebbe voluto finisse la sua barca. E io non potevo dire che ero pronto a virare; in barca non si può mentire. Nemmeno a se stessi…

Fu dopo qualche anno, con mia grande e felice sorpresa, che mio padre fece ristrutturare la vecchia Alpa. Mi attendeva fuori di casa, scafo bianco, finalmente lucido, deriva e timoni originali in legno, vela al terzo bianca con una T che campeggiava nel mezzo.
Non aspettai la bella stagione, non avrei resistito così a lungo. Era Pasqua, soffiava maestrale quel giorno, il freddo era pungente, ma non importava, quel giorno l’avevo aspettato.
Misi la prua al vento, incastonai l’albero nel suo vano, passai la drizza nel bozzello in testa d’albero e issai la randa. Sbatteva la vela al vento e allo stesso ritmo batteva il mio cuore.
La portai in battigia e infine entrammo in acqua. La prima onda che colpì lo scafo fu come un bacio di un uomo che dopo un lungo viaggio ritrova la sua donna. E poi ci fu l’idillio, il connubio tra il mare e l’anima dell’Alpa, e io Cupido al timone facevo rotta non verso un porto, ma verso l’orizzonte…



Non sarà il Joshua di Bernard, non sarà il Jipsy Mooth di Sir Francis…è semplicemente l’Alpa Tris di mio nonno Tonino, che in quello specchio di mare compreso tra il promontorio del Circeo e il tempio di Giove, naviga ancora…

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