giovedì 30 luglio 2015

Madonnina - Vigolana

Dal paese di Lavarone, volgendo lo sguardo verso nord ovest, emerge imponente il massiccio della Vigolana, con in primo piano il Becco di Filadonna. Seguitando con lo sguardo verso nord, a chiudere il profilo della montagna, si erge, elegante e isolato, un piccolo pinnacolo. La Madonnina.
Sin da quand’ero piccolo non passava giorno, in estate e in inverno, che non guardassi con ammirazione quel capolavoro della natura. E sognavo di salire lassù, dominare da lì gli altopiani a sud, Trento a nord e i laghi di Caldonazzo e Levico a est.


Passavano gli anni e l’arrampicata, le scalate erano ancora da venire e il sogno rimaneva sempre tale.
Spesso però salivo al bivacco posto sotto la Madonnina, anche per giorni, in completa adorazione di quel pezzo di roccia. Mi ripromettevo ogni volta che l’avrei salita, fosse stata anche l’ultima cosa che avessi fatto.
Poi, poco più di un anno fa, le prime arrampicate in falesia e qualche via in montagna. L’impratichirmi con le manovre, con l’utilizzo delle protezioni mi avevano dato la certezza che l’avrei potuta scalare, quando volevo. Ma ora era proprio questo il problema: la sicurezza di poter realizzare un sogno. Mi chiedevo che senso avesse a questo punto, perché materializzarlo e non lasciarlo tale.
Ho tanti sogni oggi, mi piacerebbe scalare la nord ovest del Civetta, salire sul Cervino, l’Aguille Verte, la Comici-Dimai… ma sono sogni diversi, sono nati da poco, sono nati in questi tempi in cui ho iniziato a scalare, forse sono più ambizioni che sogni alla fine.
La Madonnina no, è un sogno che ho serbato per più di venti anni, nato e cresciuto con me, ormai mi ci ero affezionato, per questo avevo paura di realizzarlo. Eppure dovevo decidermi, salirla ora o non salirla più e lasciarla stare come le montagne sacre dei popoli tibetani.
Ma il 18 agosto mi sono deciso, ho detto alla mia ragazza che l’indomani mi avrebbe accompagnato alla base della Madonnina.
Millecento metri di dislivello di avvicinamento per una via di trentaquattro metri di sviluppo è forse un paradosso alpinistico, ma è così.
Ed ecco che, senza pensare, alla base mi lego. Diedro fessurato, poi il primo zoccolo, sinistra sotto uno spuntone, poi spigolo che conduce al pulpito e poi in vetta.



Sono stato dodici minuti fermo sull’ultima difficoltà della salita, sull’ultimo appiglio perché avevo paura che in cima poi tutto svanisse.
E invece è stato ancora più bello.
Sopra, a cavalcioni sui quei trenta centimetri quadrati di roccia, mi sentivo addosso il mio sguardo da bambino che mi ammirava giù dal paese.
Oggi, a distanza di qualche giorno, non posso smettere di guardare col sorriso quel pezzo di roccia e pensare che ho scalato un sogno.


Qualche Info QUI

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